Tendenze della fiscalità nell'Unione Europea

AutorVictor Uckmar
CargoEmerito nella Università di Genova
Páginas7-17

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  1. Ben poche sono le disposizioni del Trattato di Roma (1957) e successive inte-grazioni - in particolare l'Atto Unico Eu-ropeo firmato (1986) - dedicate specifica-mente alla materia fiscale, e neppure nella Costituzione Europea (2004) che peraltro non è entrata in vigore, in quanto non tutti gli Stati membri (oggi 25) l'hanno appro-vata.

    Vi sono da ricordare innanzitut-to l'art. 25 per il quale "i dazi doganali all’importazione o all’esportazione o le tasse di effetto equivalente sono vietati tra gli Stati membri" e l'art. 26 secondo il quale "I dazi della tariffa doganale comune sono stabiliti dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata su proposta della Commissione".

    Con norma generale l'art. 93 statuis-ce che il Consiglio assume le disposizioni che riguardano "l'armonizzazione delle legislazioni relative alle imposte sulla cifra d'affari, alle imposte di consumo e alle altre imposte indirette, nella misura in cui detta armonizzazione sia necessaria per assicurare l'instaurazione ed il funziona-mento del mercato interno", intendendosi per armonizzazione (Cosciani) i provvedi-menti con i quali "i vari paesi effettuano di comune accordo, o l'Autorità preposta al Trattato impone, la modifica di una data norma o di un dato tributo o l'adeguamento della struttura essenziale di un'imposta in conformità ad un modello unico".

    Questa è la linea per la quale è sta-ta introdotta l'imposta sul valore aggiun-to, con disciplina uniforme in tutti i paesi della Comunità in sostituzione di imposte sui consumi.

    Per quanto riguarda le imposte di-rette l'unico riferimento è possibile trarlo dall'art. 293, secondo il quale "gli Stati membri avvieranno tra loro, per quanto oc-corra, negoziati intesi a garantire, a favore dei loro cittadini (...) l'eliminazione della doppia imposizione fiscale all’interno della comunità".

    La base assai flessibile, per un coor-dinamento necessario per la eliminazione degli ostacoli di natura fiscale (e quindi anche nella imposizione diretta) al fine di raggiungere gli obiettivi fondamentali del

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    trattato, è la lett. b) dell'art. 3 che preve-de "il ravvicinamento delle legislazioni nazionali nella misura necessaria al fun-zionamento del Mercato comune". È però da tener presente l'art. 94 secondo il quale la competenza del Consiglio a deliberare all 'unanimità le direttive volte al "ravvicinamento delle disposizioni legislative, re-golamentari ed amministrative degli Stati membri che abbiano un'incidenza dirette sull'instaurazione o sul funzionamento del mercato comune".

    Potrebbe nascere il sospetto di un comportamento... malizioso nei confron-ti dell’Italia degli altri cinque partners; questi già stavano modificando il regime di tassazione del reddito delle imprese in modo di prepararle alla concorrenza inter-nazionale, e quindi non avevano interesse a sollevare l'Italia dal degrado fiscale, così profondo da allontanare gli investimenti diretti. La Commissione fu sorda anche ai richiami del Comitato Ruding che aveva denunciato le distorsioni determinate da sistema fiscale non coordinato ed aveva suggerito l'adozione di norme comuni per la determinazione del reddito delle imprese e di adottare una aliquota di prelievo in un range dal 30 al 40%.

    Solo nel 1990 (le proposte risaliva-no al 1960) furono adottate due direttive in materia di imposte dirette, con lo scopo precipuo di agevolare le imprese multina-zionali: l'una, prevedeva la neutralità fiscale per le operazioni di riorganizzazione (fusioni, scissioni, conferimenti) fra imprese appartenenti a due Stati della Comunità; l'altra per la introduzione di un regime agevolato per la tassazione dei dividendi distribuiti dalla società figlia alla società madre, ambedue in Stati diversi della Comunità. È coeva una convenzione per la procedura arbitrale nelle controversie rela-tive alla determinazione del transfer price per trasferimenti di beni e servizi sempre fra imprese appartenuto ad uno Stato della Comunità, convenzione che praticamente ha avuto scarsa applicazione.

    È da ricordare la direttiva 2002 in materia di interessi corrisposti a favore di un soggetto residente in un altro Stato della Comunità: devono essere comunicati all’Amministrazione finanziaria dello Stato di residenza del percipiente.

    Infine sono state emanate direttive per lo scambio di informazioni e per l'assistenza nell'accertamento e nelle ris-cossioni di tributi nei confronti di un con-tribuente residente in un altro Stato della Comunità.

    Notevole è stata l'attività di soft law, spesso coordinata con gli indirizzi da parte dell'OECD, come l'adozione di un codice di condotta per combattere l’harmful tax competition ed in particolare i paradisi fis-cali.

  2. Il vuoto lasciato dal legislatore comunitario per la imposizione diretta è in parte recuperato dalla Corte di Giustizia (a mio avviso la mancanza di un organo del genere è una delle cause che non hanno consentito la realizzazione del Mercosur) con sentenze che determinano conseguen-ze e vincoli nei confronti di tutti gli appartenenti alla Unione Europea anche se non partecipato al giudizio. In molte sentenze è stata dichiarata l’illegittimità di norme interne inviolazione del principio del divieto delle discriminazioni in materia tributaria, della tutela della concorrenza, della illegit-timità di agevolazioni fiscali considerate quali "aiuti" di Stato, con effetti sul processo di armonizzazione.

    Già da molti anni la Corte di Giustizia in sostanza ha preso a "legiferare" in materia di imposte dirette costringendo di fatto gli Stati Membri ad una certa armonizzazione in base ai principi espressi nelle sue sentenze. Occorre ricordare, infatti, che ai sensi dell’art. 234 del Trattato, la Corte di Giustizia è competente a pronunciar-si sull’interpretazione del Trattato stesso nonché sulla validità e sull’interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni della Comunità. In quest’ottica, qualora un giu-dice nazionale ritenga che la preventiva risoluzione di una questione interpretativa sia necessaria per emanare la sentenza, può

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    domandare alla Corte di Giustizia di pro-nunciarsi sulla questione.

    Il giudice nazionale ha invece un ob-bligo di rivolgersi alla Corte, e non una fa-coltà, qualora avverso la decisione del giudice stesso non sia proponibile un ricorso giurisdizionale di diritto interno.

    Orbene, nell’esercizio di tale prero-gativa interpretativa, la giurisprudenza della Corte ha ormai consolidato il principio per il quale, anche se la materia delle imposte dirette non rientra direttamente nella competenza della Comunità euro-pea, l'esercizio da parte degli Stati membri delle loro prerogative sovrane non può comunque prescindere dal rispetto del diritto comunitario (Corte di Giustizia, 14 febbraio 1995, C-279/93, Schumacker, in Racc. I-225).

    Ampiamente dibattuta è anche la questione dei rapporti tra il diritto comunitario e il diritto internazionale. Già nel caso Avoir Fiscal la Corte di Giustizia affermò che le disposizioni dei Trattati bilaterali contro le doppie imposizioni non possono comportare una restrizione dei diritti fon-damentali garantiti dal diritto comunitario, che sono assoluti e la cui garanzia non può essere subordinata alla clausola di reci-procità contenuta in un Trattato internazionale. Nel caso di specie, la legislazione francese negava il credito d'imposta (avoir fiscal) sugli utili distribuiti alle stabili or-ganizzazioni di società assicurative aventi la sede legale in altri Paesi Membri, men-tre lo concedeva alle società transalpine. Siccome le stabili organizzazioni erano per il resto equiparate alle società costituite in Francia ai fini delle imposte sul reddito, la Corte di Giustizia ritenne che anche in re-lazione al credito d'imposta non si potesse prevedere un trattamento diverso, che di fatto penalizzava la detenzione di parteci-pazioni in società francesi da parte di società aventi la sede legale in altri Stati della Comunità e presenti in Francia tramite una stabile organizzazione; tale normativa fu quindi dichiarata in contrasto con la libertà di stabilimento garantita dall'art. 52 del Trattato CEE.

    Nel fondamentale caso Schumacker la Corte di Giustizia ribadì che la competenza degli Stati Membri in materia di imposte dirette non poteva prescindere dal diritto comunitario. Il caso di specie riguardavaun lavoratore residente inBelgio che svolgeva però la propria attività...

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